Signora Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, oggi arriva a compimento un lavoro lungo e intenso che ha preso le mosse all'inizio di questa legislatura. La legge sui piccoli comuni è una legge di iniziativa parlamentare frutto dell'ascolto e del dialogo fra diversi gruppi, di maggioranza e di opposizione, che hanno concorso alla stesura di un testo condiviso nato dall'incontro delle proposte Realacci e Terzoni. Per questa ragione, questa legge è innanzitutto una bella pagina per il Parlamento e per la politica. E desidero ringraziare le Commissioni bilancio e ambiente, così come ringrazio i relatori di questo provvedimento, i colleghi Misiani, Borghi e Tino Iannuzzi, per il lavoro prezioso che hanno svolto. E naturalmente rivolgo un ringraziamento al Governo per aver accompagnato questo percorso. Con il voto di oggi, però, è la quarta volta che la Camera esamina una legge su questi argomenti. Lo ha già fatto nelle ultime tre legislature, nella XVI, nella XV e nella XIV. È sempre mancato, però, il passaggio decisivo e definitivo del Senato affinché l'Italia riuscisse a dotarsi di una legge sui piccoli comuni. Lo dico a proposito di bicameralismo paritario e a proposito del fatto che il discorso sul bicameralismo paritario non è affatto astratto e distante dalle attese e dalle esigenze dei cittadini dei territori, ma incide sulla carne viva del Paese. Questo ritardo nell'approvazione di una legge di questa natura ha pesato e ha costituito un problema e il nostro auspicio sincero è che il Senato possa questa volta raccogliere la spinta di questo ramo del Parlamento e dare compiutamente all'Italia una legge importante. Il ritardo si è sentito e ha pesato per almeno tre ordini di ragioni. Il primo è relativo al fatto che l'Italia dei piccoli comuni rappresenta un segmento molto rilevante del nostro Paese. Sono 5.627 i comuni con meno di 5 mila abitanti e sono il 70 per cento del totale; coprono 160 mila chilometri quadrati e cioè il 54 per cento della superficie del nostro Paese e ospitano poco più di 10 milioni di abitanti, cioè poco meno del 17 per cento della popolazione totale. Il secondo ordine di ragioni legato al primo è che questi territori sono un elemento fondamentale dell'identità italiana. Sono spesso caratterizzati da un'elevata qualità della vita, da una forte coesione sociale e racchiudono una parte molto importante del nostro patrimonio storico, artistico e paesaggistico e custodiscono molte eccellenze del sistema produttivo italiano. Il terzo ordine di motivi ha a che fare con la crisi perché, se non si accorciano le distanze tra i territori italiani, la strada della ripresa continuerà ad essere in salita e carica di difficoltà. Sì, perché in questo caso non sarà da solo il mercato a risolvere questo problema, se non affrontiamo uno sforzo comune per ricostruire le condizioni e le opportunità affinché questa parte dell'Italia possa realmente scommettere su di sé. Una scommessa che deve essere lanciata perché può essere vinta solo se prestiamo attenzione a fenomeni che si sono affermati in questi anni e che sono di grande interesse. Basti pensare alle nuove forme di turismo, basti pensare alla crescita di un'imprenditoria giovane, soprattutto in agricoltura, che punta tutto sulla qualità e sull'identità territoriale. Oggi, il 93 per cento delle DOP e delle IGP ha a che vedere con i piccoli comuni e il 79 per cento dei vini di maggiore qualità ha a che vedere con i piccoli comuni.
Dunque, non stiamo affatto parlando di un'Italia minore, non stiamo affatto parlando di una parte arretrata del Paese: parliamo, certo, di aree in difficoltà e anche di marginalità, ma parliamo anche di straordinari esempi di competitività, di creatività, di coraggio, a cui dobbiamo rispondere offrendo strumenti adeguati e altrettanto innovativi che consentano a queste potenzialità di esprimersi fino in fondo. Dobbiamo, cioè, riorientare lo sguardo e l'attenzione politica a questa Italia, alla sua complessità, alle sue ricchezze e ai suoi problemi e limiti per consentirle di esprimere tutto il suo potenziale. A noi spetta, cioè, un compito delicato: fare un'operazione di ricucitura del Paese, a fronte di una crisi che ha colpito duramente allargando le distanze, quelle sociali e quelle territoriali, e ha indebolito il tessuto connettivo delle comunità, slabbrando e sfilacciando un sistema di relazioni e fiaccando le economie locali e le impresse.
E dobbiamo fare questo tenendo presente che, nonostante ciò, dentro la crisi questa Italia ha reagito e sta reagendo e dentro questo universo di 5.627 comuni ce ne sono tanti che sono tornati a crescere negli anni più recenti, perché sono state messe in campo politiche adeguate per lo sviluppo, a partire dalla progettualità locale. Queste comunità hanno reagito e altre possono reagire pensando al futuro, senza, però, disperdere nulla delle proprie radici, della propria storia, della propria identità. È in questo incontro fecondo tra tradizione e futuro che le comunità locali hanno fatto sistema, incrociando alcuni dei sentieri più interessanti e innovativi, come la green economy, le energie rinnovabili o individuando e valorizzando attrattori culturali su cui costruire un turismo sostenibile o, ancora, puntando sull'agroalimentare di qualità e la filiera corta o, ancora, puntando e investendo su buone pratiche, sulla trasparenza e sulla legalità.
In sostanza, una parte significativa di quella ripresa necessaria al Paese passa di qui: passa da questi territori, che, poi, sono i territori di tanti di noi. Non credo di esagerare nel dire che questo Parlamento deve un pensiero e un tributo ai tanti sindaci e ai tanti amministratori locali che, in questi anni, hanno fatto il possibile e anche l'impossibile per rispondere ai problemi e tenere insieme le loro comunità. È a loro che dobbiamo tendere una mano. Mi vengono in mente i nomi di Angelo Vassallo, indimenticabile sindaco di Pollica, e di Sergio Pirozzi, tenace Sindaco di Amatrice(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico): sono storie diverse, ma sono i nomi e le storie non di un'Italia minore, ma sono nomi e storie dell'Italia, tutta intera. Ecco, allora, che cos’è questo provvedimento: il riconoscimento dell'interesse generale nazionale per chi vive e lavora nei piccoli comuni, nelle aree rurali e montane. In sostanza, è un'idea dell'Italia. E pure in un quadro delicato di finanza pubblica, grazie al confronto con il Governo, siamo riusciti ad invertire una tendenza e renderla più favorevole ai territori, sia per la costituzione di un fondo nazionale di 100 milioni di euro per gli investimenti, che, in ogni caso, avrà un effetto moltiplicatore, sia perché questo provvedimento traccia nuove linee di lavoro e di intervento su cui tutti i livelli istituzionali dovranno muoversi, concorrendo direttamente e sollecitando i privati a fare la propria parte.
Certo, non abbiamo cominciato adesso ad invertire la tendenza: penso ai programmi per i 6 mila campanili, penso al decreto sugli enti locali dello scorso anno e alla legge di stabilità, che ha eliminato il Patto di stabilità; penso al programma «Cantieri in comune», contenuto nel provvedimento «sblocca Italia»; penso al collegato ambientale, che su patrimonio ambientale e capitale naturale riallinea l'Italia ai Paesi più avanzati d'Europa; penso al programma per le aree interne; penso, infine, al programma «Casa Italia» che prenderà avvio nel 2017. Insomma, su questa strada bisogna proseguire con determinazione.
In ogni modo, il fondo per gli investimenti sarà destinato ad interventi per l'ambiente e ai beni culturali, per la mitigazione del rischio idrogeologico, per la salvaguardia e la riqualificazione dei centri storici e la messa in sicurezza di infrastrutture e di edifici pubblici, per l'insediamento di nuove attività produttive, per lo sviluppo economico e sociale. Tra le priorità, il provvedimento individua l'obiettivo di favorire la residenza nei piccoli comuni, sia dei cittadini che delle attività produttive, partendo dal principio che l'insediamento è considerato una risorsa a presidio del territorio. In questo senso, molta attenzione è dedicata alla qualità dei servizi: servizi ambientali, di Protezione civile, di istruzione, sanità, servizi socio-assistenziali, trasporti, viabilità e servizi postali. In particolare, su scuole e trasporti i piani nazionali dovranno tenere conto delle esigenze dei piccoli comuni, delle aree rurali e montane. Viene, inoltre, favorita la promozione dei prodotti provenienti da filiera corta o a chilometro utile e, infine, si compie una scelta strategica sullo sviluppo della rete in banda ultralarga, utilizzando le risorse previste per le aree a fallimento di mercato. Si tratta delle aree per le quali la delibera CIPE del 6 agosto 2015 ha previsto uno stanziamento pari a 2,2 miliardi di euro per interventi di immediata attivazione.
Insomma, è una buon provvedimento, che parla al Paese il linguaggio dell'incoraggiamento e della fiducia; non è e non poteva essere un provvedimento di riordino istituzionale: quel compito è stato assolto dalla «legge Delrio». E, in coerenza con la «legge Delrio, opera questo provvedimento sui piccoli comuni che, infatti, fa proprie le indicazioni di semplificazione, razionalizzazione e accorpamento delle funzioni degli enti locali, ma senza per questo sacrificare l'identità dei luoghi e delle comunità, perché queste – le identità –, messe a sistema, costituiscono valore e aiutano a costruire una nuova prospettiva. Signora Presidente, per queste ragioni dichiaro, a nome del gruppo del Partito Democratico, il voto favorevole a questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Dichiarazione di voto
Data:
Mercoledì, 28 Settembre, 2016
Nome:
Alessandro Mazzoli